1. IN GINOCCHIO E MASCHERINA, DA LETTA A STORARO, DA BAUDO A BANFI, DA MILLY CARLUCCI A RUTELLI&PALOMBELLI, PER UNA SANTA MESSA IN GLORIA DEL CENTENARIO DI SORDI IL BUONO
2. TRA PREDICA E COMUNIONE, SI HA IL TEMPO DI RICORDARE IL DISPREZZO CHE LA SINISTRA HA NUTRITO PER SORDI, ACCUSATO DI ESSERE UN ‘’FASCISTA” (MONICELLI), UN “BALILLA DELLA PICCOLA BORGHESIA’’ (FURIO SCARPELLI), UN ‘’TROMBONE’’ (TOGNAZZI E VILLAGGIO), AVANTI CON IL NANNI MORETTI DI “TE LO MERITI ALBERTO SORDI”, PER FINIRE CON PASOLINI: “RIDIAMO SUL NOSTRO QUALUNQUISMO”. MASSÌ, HANNO RAGIONE: IL SUO NOME È FINITO NELLA STORIA DEL CINEMA. ERA INVECE NELLA STORIA DEI CATACLISMI D'ITALIA CHE ANDAVA MESSO ALBERTONE
Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
DAGOREPORT
L'Italia è molte cose. Ma cos'è, veramente l'Italia? Da Garibaldi a Berlusconi, da Pasolini ad Alberto Sordi, le risposte sono varie ed avariate, e anche la letteratura ci ha messo bocca (da "I promessi sposi" di Manzoni a "Fratelli d'Italia" di Arbasino).
Ma se volessimo un'Italia da identificare senza esitazioni, un crogiolo (possibilmente umano) nel quale vedere l’etica e la cotica, l’ingenuità e il cinismo, il Vaticano dello Spirito e il Vesuvio della carne, la forza e la scorza, le pippe e le frappe, io credo che un "nume" più potente e lampante di Alberto Sordi non si potrebbe trovare.
Il suo nome è finito nella storia dell'avanspettacolo, del cinema (solo post-mortem), della televisione (solo per le repliche estive), della commedia dell'arte. Era invece nella storia dei cataclismi d'Italia che andava messo Albertone.
Un cataclisma ben vivo, benché centenario. Perché un ciclone, un tornado non muore mai, al massimo cambia nome, ma gira attorno a noi, muta l'aspetto, abbassa la guardia, si addolcisce nelle metamorfosi, poi torna a colpire, distruttivo.
Sordi, come tutte le cose pericolose (la sua antica, meravigliosa, dignitosa cattiveria), prescinde dalle trame, non ha mai bisogno di alibi contenutistici/ideologici, come succede a gran parte dei nostri Nanni Moretti.
La sua arte rappresenta sempre e solo una disposizione dello spirito, ambigua, sfuggente, volgare, quindi autentica, scandalosa, quindi totalmente amorale ma viva.
Di qui ha origine il malcelato disprezzo verso Sordi, con le solite accuse idiote di essere stato sempre un ‘’fascista” (Monicelli), un “balilla della piccola borghesia’’ (Furio Scarpelli), un ‘’trombone’’ (Tognazzi e Villaggio), avanti il Moretti di “Te lo meriti Alberto Sordi”, per finire con Pasolini: “Della sua comicità ridiamo solo noi italiani, ridiamo, e usciamo dal cinema vergognandoci di aver riso, perché abbiamo riso sulla nostra viltà, sul nostro qualunquismo, sul nostro infantilismo”.
Invece Sordi è stato molto importante per noi tutti, negli anni passati. Ci ha mostrato come eravamo. Come eravamo conformisti e tracotanti; come eravamo mammisti e piagnoni. Mostrandocelo ci ha consentito non dico di eliminare ma certo di contrastare, di limitare questi difetti del “carattere nazionale”. Di esserne consapevoli, quanto meno.
Di più: da tempo penso che il nostro paese dovrebbe pagare i diritti ad Albertone e al suo mitico sceneggiatore, il veneto Rodolfo Sonego. Sono loro che hanno inventato le terribili macchiette che gli italiani hanno assunto a modelli di vita (vedi lo straordinario libro di Tatti Sanguineti, “Il cervello di Alberto Sordi – Rodolfo Sonego e il suo cinema”, Adelphi).
“Te lo meriti Alberto Sordi”, mi frullava nella testa caracollando verso la Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo, dove l’esimio avvocato Giorgio Assumma aveva invitato un drappello di amici per una messa in gloria del centenario di Sordi il Buono: tutti in ginocchio, da Gianni Letta a Vittorio Storaro con figlio, da Pippo Baudo a Lino Banfi, da Rutelli & Palombelli a Milly Carlucci, da Angiola Armellini a Dante Ferretti & Francesca Lo Schiavo, per chiudere con la prezzemolona Marisela Federici. Tutti calzavano la mascherina, soprattutto nera e l’effetto era proprio da film di Sordi nei panni di Zorro.
La scelta della chiesa non è stata casuale: qui si trova una straordinaria cappella, a lato della sacrestia, che fu restaurata dal “taccagno” de Trastevere. Che avaro non era per nulla ma non aveva la vanità di fare comunicati ai giornali per le sue opere di bene, vedi la donazione del terreno dove oggi sorge il Campus Biomedico dell’Opus Dei.
Dopo messa con coro e comunione, ricordi e aneddoti di Assumma e Baudo, l’aitante don Walter Insero ci ha accompagnato sul terrazzo della chiesa per un aperitivo di crodini e patatine rinforzato da una torta rustica eccellente. Chiacchiere e gnam-gnam.
Colpiva che lo sguardo dei presenti sfuggiva di sbirciare la tristezza di piazza del Popolo che alle 20 era già semideserta. Essì, deve passa’ ‘a nuttata. Meglio godersi la bellezza immortale di Villa Medici e Trinità dei Monti. Essì, mejo Sordi che stronzi.